Cari amici, Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, attesta che «In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da Covid-19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: “Eccomi, manda me” (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: “Chi manderò?” (ibid.). Questa chiamata […] interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti… e … ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020). Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. […] In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé. […] La domanda che Dio pone: “Chi manderò?”, ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: “Eccomi, manda me!” (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12)».
Oggi tocca a noi continuare la missione. Il mondo aspetta dai cristiani una parola di salvezza. È un dovere, per noi, una volta incontrato Cristo, mostrarlo agli altri. Qualcuno ha detto, con una critica abbastanza tagliente sui cristiani: “Un tempo quasi tutti i cristiani erano missionari; oggi quasi solo i missionari sono cristiani”. Dovremmo sentirci punti nell’orgoglio, e risvegliare il nostro impegno. Essere apostoli di Cristo oggi richiede un grande coraggio. Ma è necessario che risvegliamo la nostra fede abitudinaria, se vogliamo che la parola di Cristo continui a diffondersi per il mondo. Gesù non vuole seguaci sedentari. Ci vuole un movimento. Ci vuole un cammino. Il vero apostolato non è parlare, ma essere. Con una bella immagine, qualcuno ha detto: “Solo una fiamma può accendere un’altra fiamma”. Le anime si accendono le une alle altre, come le fiaccole. Allora, con la nostra vita, con la nostra testimonianza, dobbiamo accendere negli altri, lo stesso fuoco che Cristo ha acceso nei nostri cuori. Sant’Ignazio di Loyola, inviando in missione, diceva: “Andate, e incendiate tutto”. Se noi fossimo davvero quelli che dobbiamo essere, trasformeremmo il mondo. Se ancora non ci siamo riusciti, forse è perché non siamo abbastanza entusiasti ed entusiasmanti. In questo campo di lavoro, nessuno è inutile, nessuno può restare passivo, nessuno può vivere “a rimorchio”. Ognuno può e deve essere apostolo secondo il suo genio e le sue possibilità. “L’apostolato è amore che trabocca, che scoppia, che si effonde in testimonianza e in azione” (san Paolo VI). È la testimonianza che ci viene richiesta. Siamo chiamati all’azione. L’essere, cristiani, si afferma e si conserva con l’azione. Bisogna agire oggi, perché domani potrebbe essere troppo tardi.
Nell’augurare a tutte le realtà dell’Arcidiocesi un impegnato ottobre missionario, e invocando la protezione della Vergine dell’ascolto e Stella dell’evangelizzazione, nonché dei santi patroni delle missioni, saluto tutti e ciascuno in particolare ricordando le parole di colui che “presiede alla carità”: “La carità espressa nelle collette delle celebrazioni liturgiche della terza domenica di ottobre ha lo scopo di sostenere il lavoro missionario svolto a mio nome dalle Pontificie Opere Missionarie, per andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese in tutto il mondo per la salvezza di tutti” (Papa Francesco, ibid.).
Mons. Michele Carlucci